Eponimia della Pelvi Femminile II - Caspar Bartholin il Giovane
on Dicembre 21, 2020
Caspar Bartholin il Giovane nacque a Copenaghen nel 1655. Rampollo di una famiglia di illustri scienziati di grande fama (nipote del teologo e anatomista Caspar Bartholin il Vecchio e figlio del medico, matematico e teologo Thomas Bartholin), Caspar iniziò gli studi di Medicina con il padre nel 1671, all’età di sedici anni, e tre anni dopo fu nominato Professore di Filosofia dell’Università di Copenaghen dal Re Cristiano IV di Dinamarca.
Dopo una tournée di tre anni in varie università di Olanda, Francia (lavorando a Parigi con l’anatomista Joseph Guichard Duverney), Italia e Germania, Bartholin fece ritorno a Copenaghen nel 1677, iniziando allora la pratica medica e insegnando anche Medicina e Anatomia. Il 1677 sarebbe stato anche l’anno della pubblicazione di “De tibiis veterum et earum antiquo usu”, un’opera piuttosto ampia dedicata alle tibiae e, più in generale, a tutti gli strumenti a fiato a doppia ancia dell’antico mondo greco-romano. Certamente oggi Bartholin non è ricordato per questa opera, ma è proprio questo testo che gli ha consentito di raggiungere la posizione di professore a 19 anni. Bartholin aveva maturato un Cursus Studiorum ampio basato non solo sullo studio delle scienze, ma anche sull’acquisizione di una profonda erudizione classica basata sul culto dell’Antiquitas; in questo modo aveva seguito le orme di tutti i membri maschi della sua illustre famiglia. Anche il completamento del lungo viaggio di istruzione nelle capitali culturali europee dell’epoca, come si è detto prima, fu un requisito importante all’interno di questo processo. Bartholin concepì e iniziò il “De tibiis veterum” prima di partire, forse seguendo il consiglio del padre; l’opera venne poi completata e pubblicata nel corso del suo viaggio. Come molte delle sue pubblicazioni posteriori, anche questa si basava principalmente sul lavoro di autori precedenti piuttosto che su ricerche di prima mano.
Nel 1678 il padre gli conferì il Dottorato in Medicina e Bartholin pubblicò “De ovariis mulierum et generationis historia epistola anatomica”.
In qualità di Professore di Medicina, tenne lezioni di Anatomia portando avanti le proprie ricerche, che erano in gran parte basate sui lavori precedenti dei suoi insegnanti Ruysch, Swammerdam e in particolare Steno.
Come abbiamo appena visto, Bartholinus era un uomo di ampi interessi e grande versatilità, e per le tante richieste che gli venivano rivolte, trovava sempre meno tempo per l’insegnamento e la ricerca. Nel 1701 la sua partecipazione attiva ai lavori della Facoltà di Medicina era praticamente cessata (nel 1691 era diventato assesore presso la Corte Suprema; nel 1719 Procuratore Generale; e infine, nel 1724, Vicepresidente Finanziario).
Come riconoscimento per l’impegno a favore del governo, ricevette molte onoreficenze, e nel 1729, insieme a suo padre e a tutti i suoi discendenti, fu elevato alla nobiltà (Ordine del Dannebrog).
Anche dopo la cessazione delle sue attività mediche e di insegnamento, tuttavia, e per i successivi trentasette anni, nonostante il risentimento dei suoi colleghi medici, mantenne sia il suo grado di professore che lo stipendio e continuò a occupare la seconda carica più importante dopo quella del Decano della Facoltà di Medicina fino alla sua morte nel 1738 (11 giugno).
Le Ghiandole di Bartholin
Per secoli, partendo da Aristotele, si è considerata la donna come una versione in scala ridotta, o peggio, mutilata, dell’uomo. È per questo che l’utero era denominato “scroto feminile” e “sperma femminile” è stato il nome applicato al fluido che fuoriesce dai genitali della donna durante il coito, e si ritenne per molti secoli che originasse dai cossidetti “testicoli femminili” (come venivano chiamate le ovaie fino al XVII secolo).
Si pensava che questo “sperma”, considerato anche come essenziale alla fecondazione, finisse nell’uretra, come nel maschio. Erofilo, i cui scritti originali sono tutti persi, ma alcuni dei quali furono copiati da Galeno e incorporati nei suoi lavori, credeva di aver tracciato il corso dei dotti seminali dai testicoli femminili alla vescica. Nel “De Semine” di Galeno, Erofilo è citato come segue:
«Un piccolissimo condotto seminale si trova su ciascun lato, derivante dall’utero. La prima parte di questo condotto è molto piegata e, come nei maschi, va dal testicolo alla parte carnosa del collo della vescica».
George Washington Corner (1889–1981) pensò che questa descrizione si basasse sull’esame di una scrofa con dotti residui di Wolffian o Gartner, non rari in questa specie.
La vera fonte del seme femminile non fu riconosciuta fino alla fine del XVII secolo.
Nel 1672 Reinier de Graaf (1641-1673) descrisse in “De Mulierum Organis Inservientibus” i dotti parauretrali negli organi femminili come la porta di uscita del fluido che lubrifica l’introito e stimola la libido. De Graaf descrisse anche le ghiandole della prostata femminile.
«Mulierum Prostatae illarum usus, est pituitoso-serosum succum generare, qui acrimonia et salsedine sua mulieres salaciores reddit, pudedasque partes delectabiliter in coitu lubricat; neutiquam vero ad urethram humectandam, (ut quidam opinantur) illum liquorem a natura destinatum esse, vel inde patet; quia ita in ejus exitu collocantur ductus, ut erumpens Urethram non attingat quod non sieret, si ad hume etandam urethram liquor ille destinatus foret».
Bartholin era studente di anatomia del professore Joseph Guichard Duverney (1648-1730) quando questo descrisse per la prima volta nel 1676 le ghiandole vulvovaginali nei bovini. Un anno dopo, Bartholin descrisse le funzioni di queste ghiandole nelle donne.
«Questi, [scrisse Bartholin, riferendosi ai dotti attraverso i quali si credeva che il seme femminile si svuotasse nell’uretra] non li giudicai adeguati per questa funzione, ma altrove nelle vicinanze del meato uretrale e dell’orifizio vaginale vidi aperture più grandi che, dopo un’attenta considerazione, ho ritenuto più adatti per trasportare il fluido dalla ghiandola che è quasi analoga alla prostata maschile, i cui condotti si svuotano nell’uretra, come descritto da Graaf. Esaminando ancora queste strutture più da vicino nelle mucche, ho scoperto in questi animali, vicino alle pareti della vagina e non lontano dall’orifizio uretrale, una ghiandola prominente su entrambi i lati che drena nel canale vaginale; e quando la ghiandola viene premuta, l’ostio sporgente si apre vistosamente in un capezzolo all’interno della vulva… È composto da molte ghiandole ed è interamente ricoperto dalle sue stesse fibre carnose; e il grande segreto della natura che ho scoperto è che questo fluido non scorre liberamente se non durante il coito o la masturbazione, né si può trovare l’ostia se non quando il capezzolo sporge. Pertanto, poiché il fluido non può essere drenato a meno che il capezzolo non sporga, la natura aggiunge fibre carnose che comprimono le ghiandole durante l’atto venereo in modo che i capezzoli sporgano e il fluido possa essere scaricato. Si vede che le fibre carnose sorgono vicino allo sfintere vescicale come le prostate degli uomini, che sono anche ricoperti da piccole fibre muscolari che hanno origine e si diffondono dallo sfintere della vescica, secondo Graaf. Questa ghiandola, che si vede su entrambi i lati, è composta da molte parti e le escrezioni fluiscono in grande quantità nel capezzolo, che sporge quando la ghiandola è compressa; altrimenti si ritrae, lasciando appena traccia di sé. Si trova che questi dotti escretori, dove si scaricano attraverso il loro ostio, sono dilatati quando viene inserito un catetere, e i dotti si ramificano in vari rami alla periferia della ghiandola, come si osserva nei dotti escretori di altre ghiandole; i condotti progressivamente decrescendo di calibro nelle varie ramificazioni (che sono ovviamente nella sostanza della ghiandola) e terminanti. Inoltre si potrebbe dire che alle ghiandole sono collegate delle vescicole o piccole sacche allungate in cui viene immagazzinato e poi scaricato il fluido secreto nelle ghiandole».
Da questa descrizione, il nome di Bartholin è diventato così intimamente identificativo delle ghiandole vulvovaginali che queste strutture sono raramente chiamate con qualsiasi altro nome che non sia “Ghiandole di Bartolini” (termine che viene occasionalmente applicato anche a una divisione della ghiandola sottolinguale). Negli ultimi anni è cresciuta la tendenza ad abbandonare la parola ghiandola quando si parla di affezioni della ghiandola vulvovaginale, tanto che i termini Cisti di Bartolini e Ascesso di Bartolini sono ormai di uso comune e le infiammazioni dell’organo sono ora accettate come bartoliniti.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
Bartholinus, C. “De tibiis veterum et earum antiquo usu: libri tres”. (1677)
Bartholinus, C. “De Ovariis Mulierum et Generationis Historia. Epistola Anatomica”, Nuremberg, Joahnn Zieger (1679).
Bartholinus, C. “Disputatio inauguralis medico anatomica de formatione et nutritione foetus in utero”. (1687)
Corner, G. W. “The discovery of the mammalian ovum” in “Lectures on the History of Medicine. A series of Lectures at the Mayo Foundation 1926-32”. Philadelphia, W. B. Saunders Co. (1933)
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Graaf, R. De. “De Mulierum Organis Inservientibus”. Leyden (1672).
Hirsch, A. “Biographiscles Lexikon der herragenden Arzte aller Zeiten und Volker”, 2te Aufl.”, Urban & Schwarzenberg (1929).
Marzano DA, Haefner HK. “The Bartholin gland cyst: past, present and future”. J Low Genit Tract Dis. (2004).
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Speert H. “Caspar Bartholin and the Bartholin glands”, in “Essays in Eponymy: Obstetric and Gynecologic Milestones”, (1958).
“Stedman’s Practical Medical Dictionary”. i6th ed. Baltimore, Williams & Wilkins (1946).
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