L'altra pandemia
on Aprile 24, 2021
Ormai sappiamo che il Covid-19 ha fermato il nostro mondo senza chiedere il permesso, ma ci sono degli eventi che non si arrestano per nessuna ragione, e uno di questi è l’arrivo al mondo di una nuova vita. La pandemia non ha potuto fermare le nascite, ma ha cambiato il modo in cui sono nati i bambini, al punto che il tasso di tagli cesarei che sono stati eseguiti nel nostro paese durante la prima ondata del 2020 ha subito un aumento di quasi un 10% rispetto agli anni precedenti e, come si può osservare nei grafici, in tutti i paesi analizzati il numero di cesarei è aumentato con una media addirittura del 60%.
Le cause di questo aumento generalizzato di tagli cesarei possono essere diverse:
Il primo motivo è stato la scarsa conoscenza della malattia e dei suoi effetti durante i primi mesi di pandemia: l’assenza di dati sulle conseguenze del Covid-19 nelle gravide e nei loro feti è stato un enigma in più da svelare tra i numerosi che comportava questo virus (ad esempio, non si sapeva nulla sul potenziale rischio di trasmissione verticale del virus tra madre e feto). In quei primi mesi, in mancanza di strumenti terapeutici per il controllo della malattia, il taglio cesareo è diventato l’alternativa più opportuna per salvaguardare la salute delle donne e dei neonati.
Uno studio condotto della Società Catalana di Ostetricia e Ginecologia (SCOG) e del Servizio Sanitario Catalano, ha dimostrato che il tasso di taglio cesareo era più alto nelle donne in gravidanza che erano state ricoverate per COVID-19 (51,1%) rispetto a quelle che erano state ricoverate per motivi ostetrici (29,5%).
Il secondo motivo dell’aumento dei tagli cesarei è la paura. Una paura che si è aggravata in un contesto di emergenza sanitaria e di stato di allarme generalizzato. Ed è proprio questo che spiega l’aumento degli interventi legati al parto, come induzioni, tagli cesarei, parti operativi, il divieto di essere accompagnate, la separazione madre e bambino… Pratiche che, se svolte in modo ingiustificato, senza fornire adeguate informazioni, a volte senza consenso, infliggono danni fisici ed emotivi sia alle donne che ai neonati.
Il problema non è stato il Coronavirus in sé ma la paura riguardo alla nascita. Perché il parto, sia a livello sociale che sanitario, è ancora oggi considerato da molti una patologia, un processo pericoloso, dove le donne non hanno capacità decisionale, e di conseguenza bisogna delegare agli “esperti”. Le donne finiscono per diffidare del loro corpo e delle sue capacità, pensano di non sapere partorire, e ritengono i riti della medicalizzazione inevitabili, con la conseguente subordinazione e perdita di autonomia. È così che la visione egemonica della gravidanza e del parto è stata costruita nelle società moderne.
Pertanto, lo stato di allarme ha finito per intensificare il ricorso a pratiche già esistenti. In Italia, infatti, un parto su tre avviene per taglio cesareo, mentre l’OMS ritiene che una cifra giustificabile non debba superare il 15%. Elevato è anche il numero di parti operativi.
È vero che l’intera società è stata influenzata in un modo o nell’altro dalla comparsa del COVID-19. È stato necessario adeguarsi – all’improvviso – in tutti i settori, a cambiamenti e restrizioni inattesi di cui non si mette in dubbio l’utilità. Ma è ormai passato più di un anno dall’inizio della pandemia e, sebbene, inizialmente, ignoranza e precauzioni potessero giustificare la prudenza nelle cure ostetriche, in questo momento le donne in gravidanza continuano ad essere uno dei gruppi più puniti per azioni inaccettabili che non rispettano né le raccomandazioni dell’OMS né le raccomandazioni delle Società Scientifiche di professionisti che si prendono cura della maternità, ecc.
Oggi, poiché conosciamo un po’ di più sul SARS–CoV–2, non possiamo continuare ad utilizzare la mancanza di informazione come scusa. Anzi, ora addirittura sappiamo che i tagli cesarei aumentano il rischio di complicazioni nelle donne in gravidanza con Coronavirus. Un lavoro di Martínez Pérez, pubblicato sulla rivista scientifica “JAMA” in maggio 2020, ha mostrato che il 21,6% delle donne incinte positive al Covid-19 hanno subito un peggioramento della loro situazione clinica dopo il parto con taglio cesareo, rispetto al 4,9% di quelle che hanno partorito per via vaginale. Dopo il TC, il 13,5% delle madri sono state ricoverate in Terapia Intensiva, rispetto a nessuna di quelle che hanno partorito naturalmente.
Negli ultimi anni, grazie al lavoro che le associazioni svolgono in difesa del parto rispettato, sono stati compiuti importanti passi avanti nei diritti delle donne al momento del parto. L’OMS si è anche pronunciata con forza per diminuire il numero di cesarei a livello mondiale e per sradicare la violenza ostetrica. E sempre più professionisti della salute riconoscono che queste pratiche esistono e che è necessario interromperle. Non possiamo permettere che la situazione di Emergenza Sanitaria dovuta al Coronavirus comporti anche la perdita dei progressi finora raggiunti.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
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