Il Lotus* birth (o “umbilical nonseverance”) si può considerare impropiamente come una modalità/procedura di nascita in cui il cordone ombelicale non viene reciso e il neonato resta collegato dopo il secondamento alla sua placenta e agli altri annessi fetali.
La placenta (fonte prima di nutrimento del feto) viene lavata dai coaguli di sangue, asciugata, facoltativamente cosparsa di sale marino grosso (che facilita il processo di essiccazione e agisce da “conservante” naturale) e può essere cosparsa con gocce di olio essenziale di lavanda.
Pochi giorni dopo la nascita (dai 2 ai 10, ma di media 3/4) il cordone si separa in modo naturale dall’ombelico del bambino.
Concettualmente, il legame tra neonato e placenta è molto forte in quanto entrambi hanno condiviso un contatto intimo e prolungato. Bambino e placenta sono formati dallo stesso materiale genetico, dalle stesse cellule, hanno il medesimo DNA e condividono pertanto un’unica risonanza: ecco quindi che nel Lotus Birth, la separazione tra i due avviene quando entrambi hanno realmente concluso il loro rapporto e hanno deciso che è giunto il momento di scindersi.
E’ quindi evidente che sembra riduttivo riferirsi al Lotus Birth come ad una “modalità” di nascita (non si deve pensare che si tratti di una semplice modalità di dare alla luce un figlio, diversa rispetto a quella tradizionale). Si tratta piuttosto di una “filosofia” di nascita dolce, delicata, equilibrata, rispettosa.
*Per quanto il nome di questa pratica rimandi alla splendida immagine del fiore di loto, il termine Lotus si riferisce al cognome della prima donna che praticò questa tecnica en 1974, l’infermiera californiana Clair Lotus Day.